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MONZESI
Anna Bernasconi
Intervista di Carlo Vittone sul  libro MONZESI - cinquanta personaggi della città


Anna Bernasconi    Nata a Monza nel 1945, convive felicemente da oltre trent'anni con un ex compagno di scuola . Dopo gli studi al Liceo classico Zucchi, si laurea in Medicina all'Università di Milano, con specializzazione in anestesia e rianimazione. Nel 1971, appena laureata, entra nella struttura sanitaria pubblica, prima a Milano, poi all'Ospedale San Gerardo di Monza, dove tuttora lavora. Attualmente è coordinatrice d'area per i trapianti in Brianza. Consigliere comunale del PCI dal 1983 al 1994, parlamentare alla Camera dei Deputati dal 1987 al 1992, poi al Senato della Repubblica dal 1996 al 2001. Ha fatto parte delle commissioni “Sanità” e “Infanzia”. Ha particolarmente seguito l'iter delle leggi sui trapianti (ed in questo ambito è stata relatrice della legge sull'accertamento della morte) e, più in generale, le discussioni parlamentari sulle questioni di bioetica. Ha proposto ed è stata relatrice di una innovativa legge sulla politica del farmaco. Su questi temi ha tenuto relazioni in numerosi convegni ed ha pubblicato articoli su giornali e riviste. Dal 2001 è membro della Direzione Nazionale dei Democratici di Sinistra, mentre a Monza è semplice iscritta presso la sezione “G. Citterio”

foto di Fabrizio Radaelli


Mi riceve nella sua bella casa, un piccolo attico alla periferia di Monza, e subito comincia a mostrarmi le piante del suo terrazzo, tra le quali spicca un ulivo che “ogni anno produce “un sacco di frutti”. Un'affermazione metaforica? Scelte politiche anche per le piante domestiche? Sorride un po', i suoi grandi occhi azzurri si illuminano e poi comincia il suo racconto.

No, no, non fino a questo punto, è solo una bella pianta. E' però vero che la politica l'ho respirata in casa fin da piccola. Provengo da una famiglia dove l'impegno sociale era sentito con grande energia. Mio padre era militante democristiano, fu anche presidente del comitato di quartiere della zona centro( oggi sono le circoscrizioni). Ma ho cominciato a far politica attiva nel '68, prima all'Università, e poi nell'allora PCI, di cui ho preso la tessera nel 1976 e…..non ho mai cambiato bandiera.

Lei che proveniva da una famiglia democristiana si iscrisse ad un partito della sinistra?

Sì, accadde proprio questo. Ma, veda, mio padre era un uomo di serissimi principi morali e sociali e non avrebbe mai contrastato una scelta che in fondo sapeva basarsi proprio su questi principi. Forse non ne fu molto entusiasta, ma ne capì le ragioni. In famiglia c'era molto affetto e rispetto reciproco.

E come ricorda il mondo politico monzese di quegli anni?

Beh, erano tempi in cui la Democrazia Cristiana era nettamente maggioritaria, permeava tutta la vita della città, anche dell'ospedale. Solo io ed un altro collega chirurgo avevamo la tessera del PCI. Però vi era un clima politico diverso. I politici di allora erano tutti uomini di esperienza e autorevolezza e questo non solo tra i miei compagni.. C'erano persone di valore in tutti i partiti e un comune denominatore di profondo rispetto delle istituzioni e della democrazia.Certo anche allora la politica era condizionata dagli interessi. Ci sono state scelte politiche contrastate e combattute dalle forze di sinistra, ma in una corretta dialettica politica da entrambe le parti.

E poi?

Dai primi anni '80 si è assistito ad un progressivo scadimento di questa qualità politica. Le nuove leve al governo della città spesso concepivano la politica come puro esercizio del potere, abbassando di conseguenza il livello culturale e ideale. Per me che concepivo l'impegno politico come valore e come sentimento, fu avvilente assistere a tutto ciò. In parallelo crescevano il dilettantismo e l'approssimazione nell'affrontare i temi più delicati. Talvolta si parlava e si proponeva senza approfondire la questione. Io mi ero formata alla “vecchia scuola”: prima ci si informa, si studia il problema, poi si parla. In questa situazione è ovvio che prevalessero solo gli interessi individuali. Risultato: una città sgovernata e mortificata.

E in Parlamento? Lei è una dei pochissimi parlamentare autenticamente monzesi, forse l'unica donna.

Il salto in Parlamento all'inizio fu scioccante. Ci misi un po' a capire come muovermi, sentivo fortisima la mancanza del “concreto” lavoro di medico. Ma da subito mi eccitò la capacità di relazione del Parlamento: hai tutta l'Italia in mano, stai in un osservatorio privilegiato che ti permette di avere il polso dell'intera vita nazionale, da Bolzano fino a Lampedusa. Vedi, e vivi, pezzi di cultura la più varia, conosci mille persone che ti arricchiscono con le loro esperienze, spesso fai vita in comune con loro anche al di fuori dell'aula.

Solo con i parlamentari del proprio partito?

Oh no, c'era socializzazione tra i diversi gruppi, soprattutto tra coloro che provenivano da fuori Roma. Celiando un po' sulla mitica vita da parlamentare, chi viene da lontano è quasi in collegio e fa, nel poco tempo disponibile, vita sociale con i “compagni di collegio”. Se poi mi chiedi dei rapporti con parlamentari di altri partiti, ricordo un deputato missino, un ex cappellano militare: in aula eravamo su fronti opposti, ma in privato era una persona simpaticissima e spiritosissima…..per i suoi ottant'anni.


All'inizio della esperienza parlamentare si è mai sentita uno dei tanti “peones”, quelli che devono solo alzar la mano alle votazioni ?

(con un filo di indignazione) No, questa sensazione non l'ho mai provata. E sa anche il perché? Perché io in fondo avevo già una professione ben consolidata. Avere una professione mi ha tutelato nella mia libertà di scelta e nella mia autonomia, anche nell'aver scelto di fare politica entrando in un partito Sono tra quelli che sostengono l'importanza dei partiti. E aderire ad un partito per me significa anche accettarne le regole. Ma questo non mi ha impedito, le poche volte in cui mi sono trovata in forte contrasto, di votare diversamente dalle indicazioni del mio partito. No. tra i peones proprio mai.

E il ritorno a Monza?

Ho sempre amato moltissimo Monza, ma negli ultimi anni ho creduto di non riconoscerla più. Mi ci sento stretta.. Ho assistito ad uno scadimento generale della città, a tante deturpazioni, a tanti oltraggi. Pensi solo all'aspetto urbano, ai trasporti, alla vita associativa.. C'è stato un momento in cui ho creduto che me ne sarei andata, poi ci ho ripensato, è prevalsa la speranza di un cambiamento.

E l'annosa questione della provincia?

Sono sempre stata a favore della provincia di Monza, e questo da molto tempo. In realtà la questione – strategica per la intera Brianza- è troppo spesso confinata in una visione di campanilismo, che restringe e penalizza il progetto di sviluppo dell'area a cui è legato il riconoscimento di provincia. Monza nel tempo ha perso il suo ruolo trainante nei confronti del territorio. Guardi solo il caso emblematico della Villa Reale e del suo restauro e utilizzo. La Villa Reale con il parco, l'ospedale, l'università, le capacità per un terziario avanzato sono ricchezze che la città può offrire alla nuova provincia. Certo, anche con un progetto adeguato dei trasporti che non ci consideri-come ora- un quartierone periferico di Milano.

Senta, dottoressa, un'ultima domanda forse un po' cattiva. La sua vita si è divisa tra la professione medica e la politica. Ma se Lei fosse chiamata a scegliere tra le due, senza possibilità di compromesso?

A scegliere? Tra fare il politico e il medico? Considero entrambi importanti, a tal punto che quando ho fatto la parlamentare non ho mai svolto attività medica residuale. Ed ora come medico, dedico alla politica il tempo libero. Ma non c'è dubbio che la mia “professione” è quella di medico.

Carlo Vittone


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 26 aprile 2003